Hikikomori è una parola di origine giapponese che significa “stare in disparte”, “ritirato”. Questo termine è stato preso in prestito dalla cultura nipponica perché i primi casi di hikikomori si sono manifestati proprio in Giappone a partire dagli anni ’90.
Possiamo descriverlo come una forma estremizzata di ritiro sociale che colpisce soprattutto il genere maschile di età compresa tra i 14 fino ad oltre i 40 anni.
In base agli ultimi sondaggi pubblicati, in Giappone risultano quasi 1 milione di hikikomori, definiti come persone rimaste a casa per più di sei mesi, senza andare a scuola o al lavoro, e che non interagiscono con nessuno che non sia la loro famiglia.
L’hikikomori consiste in una forma di chiusura dal mondo esterno che può durare dai 6 mesi e prolungarsi per diversi anni. Si presenta come una estrema difesa che porta l’individuo ad isolarsi completamente dal contesto in cui vive, evitando i contatti interpersonali, sociali ed il confronto con gli altri, chiudendosi nella propria stanza, non andando a scuola e sfuggendo il confronto con gli altri, in quanto potrebbe essere molto doloroso e creare disagio.
I soggetti colpiti da questa condizione sono caratterizzati da timidezza e fragilità molto marcata che li spinge a isolarsi per il timore del confronto. E così l’utilizzo del web diventa un rifugio e rappresenta l’unico modo per “comunicare” virtualmente con l’esterno.
E’ stato dimostrato che spesso i familiari propongono ai figli modelli di perfezione o di riferimento a cui gli hikikomori non vogliono aderire, e questa estrema chiusura dal mondo circostante rappresenta una risposta negativa alle rigide richieste imposte dal modello genitoriale.
Analizzando il contesto familiare, spesso, troviamo famiglie che proiettano nei figli i propri bisogni, infatti, nella cultura giapponese il conformismo e le pressioni attivate dai genitori sui figli, vissute come insopportabili, hanno un peso notevole sulla vita di questi ultimi ed è per tale motivo che il fenomeno risulta più evidente all’interno di questa cultura.
Gli Hikikomori piuttosto che reagire e proteggersi, attivando forme di resilienza, si rifugiano nelle loro stanze per mesi e anni. Oltre a questa forma estrema di isolamento, assistiamo anche ad una inversione del ritmo circadiano di sonno-veglia che aggrava ulteriormente tale condizione.
Sebbene non venga annoverata come una malattia, l’hikikomori è inquadrato come un disagio di natura sociale; i sondaggi dimostrano che, alla lunga, questo fenomeno può presentare analogie con i disturbi mentali come la schizofrenia, la depressione, i disturbi di personalità, causando ulteriore dolore a se stessi e a chi li circonda. Allo stesso modo formulare una diagnosi sarà difficile poiché gli hikikomori non escono e vivono segregati nelle loro stanze. E comunque gli studi hanno dimostrato che, nel corso del tempo, tale fenomeno tende a cronicizzarsi.
Le cause di tale condizione può essere collegata a forme di bullismo, abusi, rapporti di dipendenza e/o simbiotici con la figura materna, atteggiamenti iperprotettivi, pressioni sociali molto forti vissute con grande disagio ecc.
Ad oggi l’hikikomori rappresenta un grave problema per il Giappone che ha assistito, nel corso degli anni, ad un aumento esponenziale di questa condizione. In Italia, l’hikikomori si sta diffondendo solo negli ultimi anni.
Gli studi hanno evidenziato che le diversità all’interno degli hikikomori sono riconducibili agli aspetti culturali, in quanto quest’ultimi hanno un forte peso e incidono notevolmente sull’andamento di questa condizione. Ma davvero è solo una sindrome culturale?