Con la parola solitudine si pensa subito a qualcosa di triste, nostalgico, ad un sentimento con una forte connotazione negativa.
In verità, sappiamo quanto sia importante riuscire a stare soli con se stessi per poter essere in grado di relazionarsi con gli altri.
La solitudine non sarà percepita come tale se saremo nutriti costantemente dall’interno, se un calore consolatorio e costante ci avvolgerà. Generalmente, sono i primissimi rapporti che il bambino vive, soprattutto quello con la madre più di ogni altro, a determinare la formazione di questo nucleo rassicurante e confortevole che ci permetterà anche in età adulta di non sentirci mai completamente soli, mai realmente abbandonati a noi stessi.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo leggere la solitudine non come una circostanza angosciante della nostra vita, bensì come una condizione di crescita ma anche sano rifugio in se stessi.
La separazione, la rottura di un legame e la solitudine che ne derivano sono indubbiamente le esperienze più atroci per un essere umano. Iniziare a far fronte a questi dolori attraverso l’elaborazione di queste perdite ci rende più forti.
Ognuno di noi sa come sia possibile star soli senza provare un penoso senso di vuoto o di abbandono. Capita a volte di voler rimanere soli, di ricercare la solitudine di desiderare la compagnia di noi stessi. Quando all’origine di una situazione di isolamento è possibile rinvenire simili bisogni, l’esser soli sarà vissuto come una conquista e non una sconfitta.
Lo stare soli può quindi essere accompagnato da una intensa sensazione di benessere, può addirittura avere caratteristiche terapeutiche, rigeneranti ed equilibranti.
In queste circostante, nonostante ci sentiamo distanti dagli altri non abbiamo la sensazione di aver perso qualcuno o di essere abbandonati. Saremo al contrario confortati dal nostro mondo interno e dal rassicurante pensiero delle persone per noi significative.
La solitudine è un mezzo favorevole allo stimolo della creatività, grazie alla possibilità di favorire il contatto col proprio mondo interiore che risulta indispensabile per il lavoro creativo.
Le persone abituate a trascorrere del tempo da sole sono, in assoluto, più gratificate rispetto la propria vita, più abili nella gestione dello stress e meno inclini alla depressione, a dimostrazione di quanto la solitudine sia determinante per il benessere mentale.
Oggi viviamo in un epoca dove la solitudine sembra qualcosa di minaccioso, di terribile. Tutto viene agito affinché un momento privato diventi pubblico, condiviso.
Siamo bombardati da continui messaggi, telefonate e social; stare soli diventa sempre più complicato e si preferisce condividere virtualmente per evitare i momenti di solitudine che vengono percepiti come negativi.
Esiste, anche, un’altra forma di solitudine, diversa da quella appena descritta, molto dolorosa e frequente. Spesso è accompagnata dalla depressione, dall’ansia e dalla paura di essere abbandonati da chi amiamo, dal non riuscire ad instaurare relazioni amicali soddisfacenti, dal venire esclusi dai gruppi di amici o di lavoro. Tutto questo crea un vissuto estremamente doloroso, che si traduce in timore abbandonico. Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sperimentato queste sensazioni spiacevoli.
Nella nostra esperienza clinica questo tipo di solitudine è la più frequente. In alcuni casi si traduce nella incapacità di desiderare e quindi di fare progetti di vita. Desiderare significa essere vivi. Iniziare il cammino del non desiderio porta lentamente verso uno stato mortifero dove non esiste ne presente ne futuro ma solo il triste ricordo di un passato lontano ma inesorabilmente presente.
Per uscire dall’impasse di questa situazione dolorosa è importante percepire il malessere, accoglierlo come un momento di crisi transitorio che porterà ad un cambiamento, a qualcosa di nuovo. In ogni crisi c’è la possibilità di crescita e miglioramento ma il più delle volte è la paura del cambiamento che blocca, inesorabilmente, questi processi vitali.